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Da Singapore: Beatrice

Beatrice è una expat completa: ha vissuto in diversi continenti, ha avuto una bambina, è espatriata per lavoro e poi anche per seguire il marito, ha attraversato diversi stati d’animo e si è rinnovata; insomma le ha fatte tutte. Una vita interessante da cui è ed è stata capace di trarre piccole verità che generosamente condivide con noi e sicuramente in molti si ritroveranno. Grazie Beatrice!

Quando mi è stato chiesto di scrivere qualcosa su di me dal gruppo delle Amiche di Fuso confesso di essermi sentita estremamente lusingata: è bello sentirsi parte di un gruppo di amiche che, anziché competere come spesso ahimè accade, preferiscono condividere tutte quelle gioie e fatiche, dubbi e preoccupazioni che vivere da espatriate comporta. Ci si sente rafforzate nel vedere le proprie esperienze riflesse dai racconti sentiti e a volte sofferti di qualcun altro.

Ma veniamo a me: mi chiamo Beatrice e vivo e lavoro all’estero da oltre 15 anni.
Una scelta la mia maturata sin da giovanissima: scelsi infatti di iscrivermi a lingue e letterature orientali già vent’anni fa con l’idea di fare esperienze in luoghi esotici di cui sapevo poco o nulla. La scelta di studiare cinese la feci infatti con l’idea di poter aprire a me, nata in una famiglia borghese con limitate risorse economiche e scarse conoscenze spendibili nel mondo del lavoro, l’opportunità di fare qualcosa di stimolante, guardando al di fuori dell’Italia.

La mia prima esperienza cinese la feci nel 1999, durante il terzo anno di università. La Cina è uno di quei paesi che o si ama o si odia, senza mezze misure: inquinata, sovrappopolata, caotica e sporca ma anche ricchissima di opportunità, esilaranti sorprese e contraddizioni su tutti i fronti, un vero e proprio marasma culturale ed emozionale. Quando tornai a casa per completare gli studi sapevo per certo che il mio obiettivo era di tornare a vivere li, preferibilmente a Shanghai. E così ho fatto.

Mi sono trasferita a Shanghai nel 2001 e li sono rimasta per dieci anni, con l’esclusione di una breve parentesi parigina. Sono partita dopo un anno di esperienza lavorativa a Milano per lavorare ad un progetto finanziato dalla Regione Lombardia. A Shanghai, per questioni di budget, ho dormito in un alberghetto di periferia squallido e sporco per mesi, ancora ricordo le ossa di pollo succhiate dal precedente ospite e lasciate a marcire sotto il mio letto, nonostante i solleciti al personale addetto alle pulizie…

Ho pianto per mesi all’inizio: non mi sentivo sicura né del mio cinese né del mio inglese, la città era immensa e non conoscevo nessuno, in Italia avevo un fidanzato che mi aspettava dubbioso eppure, anche se tra le lacrime, non volevo mollare. Mi sono fatta vere e proprie indigestioni di film e serial televisivi, per affinare l’orecchio e acquisire vocabolario. Mi sono costretta ad imparare il lavoro per cui ero stata mandata lì, anche se non lo trovavo entusiasmante. Ho frequentato per mesi persone di cui mi importava poco o nulla, non rassegnandomi all’idea di non poter conoscere qualcuno di interessante, mi sono cercata casa, la prima delle 4 in cui ho vissuto lì e dopo sei mesi ho cominciato a respirare. Credo che sei mesi siano il tempo minimo che una persona si debba concedere per accettare la nuova realtà che lo circonda, capire un po’ meglio come le cose funzionino, crearsi i primi piccoli, rassicuranti punti di riferimento. E cosi è sempre stato per me che in 15 anni ho cambiato 4 paesi, 3 soltanto negli ultimi 5 anni….

Della Cina ho amato molte cose, prima di tutto la genuina curiosità per il diverso, o meglio per l’occidentale di cui avevo disarmanti esempi su base quotidiana: gli approcci strampalati e a tratti commuoventi di chi vuole essere il tuo “migliore amico cinese” e per questo motivo ti tratta come un bambino incapace di badare a se stesso. La gente vestita da sposa che si fa fotografare con te o quella che t’infila le mani nel carrello della spesa per capire cosa mangi.

I cinesi sono un popolo affamato, lavoratori capaci di sopportare fatiche e condizioni disumane nel disperato tentativo di offrire ai propri figli un futuro migliore. Certo, hanno i loro limiti e difetti, ma l’umiltà di imparare, anche copiando, e la loro voglia di emergere mi ricordano molti dei racconti trasmessi dalla mia cara nonna materna sull’Italia del dopoguerra, anche se contestualizzati in megalopoli fantascientifiche con ritmi e capacità di produzione per l’Italia impensabili.

In Cina mi sono potuta esprimere professionalmente: le aziende italiane mi consideravano per lo più un’interprete e mediatrice ma per le aziende straniere, grazie anche a training e formazione costante, ero diventata una specialista in risorse umane e un mediatore culturale. 

sydney amiche di fuso

A Shanghai la comunità di expat era relativamente grande eppure ci si sentiva a casa in ogni posto. Sarei potuta rimanere anche più a lungo, per me ormai era casa, ma mio marito, conosciuto lì, non ne poteva più e così nel 2012 ho deciso di seguirlo abbandonando ogni certezza. Avevamo chiesto un riavvicinamento all’Italia e ci hanno assegnato Sydney. Confesso che la cosa mi ha creato più irritazione che entusiasmo. L’Australia per molti è un sogno ma io non riuscivo ad abbracciarne i punti di forza. Penetrare il tessuto sociale, per i miei standard chiuso e provinciale, si è rivelato difficile. L’offerta culturale era piuttosto mediocre, non sono una spiaggista e la natura preponderante m’inquietava anziché deliziarmi. In testa mi rimbalzavano continuamente storie di nuotatori attaccati da squali a riva, o da alligatori a 100m dal mare, i ragni e i pipistrelli erano enormi e attraversavano indisturbati il centro della città. Michael, mio marito, lavorava sette giorni su sette e io ero impegnata solo poche ore al giorno nella gestione di una piccola piattaforma commerciale. Per cui mi annoiavo a morte e mi mancava da morire Shanghai. Poi sono rimasta incinta, ho fatto un viaggio sola nei Northern Territories dove ho incontrato una ragazza cilena naturalizzata e con lei ho cominciato a portarmi il pancione appresso nelle passeggiate gratuitamente organizzate da volontari per la promozione dell’eredità storica locale e sui circuiti di trekking costiero. L’Australia, abbattute le mie barriere difensive, mi stava insegnando molte cose. Innanzitutto come le prime impressioni spesso ti portino a rimanere ancorati nella propria zona di comfort, che a tratti può risultare essere un posto triste e corrosivo. I cambiamenti sono stressanti, è vero, ma inevitabili: nonostante la gravidanza in Australia ho imparato a dedicarmi all’attività fisica e ad un regime alimentare più sano e i benefici sono stati evidenti anche dopo il parto. Fare amicizia a trent’anni può essere difficile, ma non impossibile, anche questo ho imparato. Insomma, dopo quasi un anno, cominciavo a stare bene. Così mio marito ha pensato bene di mollare il lavoro e a 2 mesi dal parto di chiedermi di trasferirmi in Inghilterra ed io, che prima non vedevo l’ora di lasciare il paese, mi sono sentita un nodo in gola. Confesso infatti di aver trascorso le ultime settimane facendo passeggiate nostalgiche attraverso scenari che non avrei creduto potessero causarmi rigurgiti di malinconia.

London amiche di fuso

Forte di queste nuove maturate convinzioni e nonostante l’inevitabile panico, mi sono sforzata di vivere Londra con entusiasmo. Due mesi dopo il parto sapevo già come muovermi tra centri educativi, baby spa e pediatri. Penelope, mia figlia, era un angelo e visto che mio marito si era preso un periodo sabbatico per lavorare come consulente da casa, la nostra quotidianità era spesso condita di piacevoli momenti di intimità e gioiose esplorazioni. A Londra sono uscita poco la sera, ma non mi sono fatta mancare la visita ai parchi e ai musei più interessanti, portandomi la piccola appresso anche nella scoperta della scena underground e di quella culinaria, decisamente esaltanti. A Londra ho riabbracciato e incontrato amicizie che sono ancora parte del mio quotidiano, anche se solo via Whatsapp e Skype.

Singapore amiche di fuso

A Londra abbiamo comprato casa, Londra è casa: cosmopolita, eccitante, culturalmente stimolante, ma anche verde e tranquilla, dipende da quello che vuoi. Nella primavera del 2014 ho anche cominciato a riaffacciarmi sulla scena del lavoro, ma di lì a poco mio marito ha ricevuto un nuovo incarico e si è trasferito a Singapore. Il lavoro non arrivava per me per cui l’ho raggiunto e adesso sono qui. Mi sono re-inventata una professione, quella di insegnante, per cui ho seguito un corso di formazione, lavoro come interprete e traduttrice per l’ambasciata e la camera di commercio e con Penelope esploro gli innumerevoli spazi verdi e centri ricreativi che Singapore ha da offrirmi. Trasferirmi qui è stata una passeggiata: sono arrivata con due valigie nelle quali c’era anche il lettino da campeggio, il seggiolone e il vasino di Penelope e con calma ho ricostruito tutto da capo (guardaroba compreso, non sono minimalista, sono italiana!). Rispetto alla donna che ero quando mi trasferii in Australia, ho imparato a vivere i cambiamenti con leggerezza, focalizzandomi sugli aspetti positivi e mantenendo alta la mia curiosità di vivere al massimo quello che ogni paese ha da offrire. Torno a Londra ogni 5-6 mesi e con mio marito stiamo cercando di capire se estendere la nostra permanenza qui o tornare lì. L’unica condizione che ho posto sono sei mesi di preavviso, perché sei mesi sono, come dicevo, il tempo che mi serve per organizzare le cose ammortizzando lo stress. Per il resto, come diceva il nostro David Bowie “I don’t know where I am going from here but I promise it won’t be boring”.

Beatrice, Singapore.

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Se anche tu sei come noi una #adieffina per il mondo, alle prese con nuove abitudini, costumi, lingua e fusi sei la persona che fa per noi. Raccontaci la tua storia, chiacchiera con noi, allarga i nostri orizzonti. Questo spazio è tutto per te .

8 Comments

    • Grazie! Ho avuto l’esempio di una madre molto forte e coraggiosa che ha cresciuto 3 figli sola, mi ha insegnato molto il suo esempio

  • Uaho, grazie del tuo racconto.
    Cercherò di fare tesoro delle tue esperienze e di imparare a vivere i cambiamenti con più leggerezza…che fatica però 😉

    • Infatti quando siamo affaticate dobbiamo concederci una pausa e farci coccolare: la famiglia, gli amici, i nostri hobby, qualche peccato di gola o di vanità, abbiamo tutte tanta forza e tanta fragilità dentro

    • La motivazione era già lì, sono sicura, a volte basta un profumo, un’immagine evocativa, un atto gratuito di gentilezza a risvegliarla. Noi donne abbiamo la forza di sostenere un mondo, non credi?

  • Ciao Beatrice!

    Anch’io mi trovo a Singapore da 2 anni, si tratta del mio primo espatrio. Ricordo che i primi mesi faticavo a capire chi fossi e cosa esattamente volevo fare.. Leggere esperienze come la tua e di chi si è già trasferita diverse volte è rassicurante 🙂 Chissà se ci siamo già incontrate in giro? Frequenti qualche gruppo (IWG, DIAS, ecc.) in particolare?

    Un abbraccio,
    Anh

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